Nel caso di questa II edizione di Mondovisioni la coerenza non può certo essere trovata nella geografia, visto lo sforzo di andare a toccare con solo 7 film i paesi più lontani, dal Nicaragua alla Corea del Nord, dall’Islanda alla Liberia. Ne tanto meno in un tema dominante, se i documentari affrontano questioni diverse, per quanto inevitabilmente interdipendenti, come crisi economica, diritti umani, emigrazione e conflitti. A emergere come possibile elemento unificante tra i documentari proposti dall’edizione 2010 di Internazionale a Ferrara è allora l’invito a guardare, questi film e la realtà che ci circonda, senza fidarci mai troppo sia delle apparenze che del nostro stesso punto di vista. È la prima lezione per ogni reporter, e in questo senso il programma articola anche un discorso sul ruolo e la difficoltà della (buona) informazione oggi. L’incursione in Corea del Nord del regista-capocomico danese Mads Brügger in The Red Chapel potrebbe apparire una spietata burla, ma nasconde un coraggioso assalto dadaista a uno dei regimi più spietati che la storia ricordi, e il benemerito tribunale per i crimini di guerra in Liberia, al centro di War Don Don, non è forse la soluzione a tutti i mali. Last Train Home ci mostra come la Cina super-industrializzata, apparentemente gigantesca macchina inarrestabile, si inceppa nella celebrazione tradizionale del Capodanno, in cui culmina il dramma della migrazione interna, e all’altro capo del mondo God Bless Iceland documenta la repentina trasformazione di un paese che pareva tra i più solidi e felici, e si è rivelato il laboratorio avanzato della crisi finanziaria globale. In Bananas! un avvocato miliardario, paladino dei campesinos nicaraguensi, sembra un cialtrone ma si rivela un eroe… o forse il contrario, e in Stolen due registi partiti per documentare e difendere la causa Saharawi scoprono una realtà più complessa e controversa. In The Town of Badante Women infine a ribaltarsi è la prospettiva sul nostro stesso paese, l’Italia, terra di speranza e meraviglie nei racconti delle donne che emigrano dalle città più povere dell’Europa orientale, lasciando soli uomini e figli, vittime collaterali di sottovalutate trasformazioni sociali e demografiche.